mercoledì 30 marzo 2011

I pensieri che in questo periodo abitano la mia testa

Capita, alle volte, che abbia la sensazione che certe abitudini sociali si siano ridotte a vuoti rituali, a riempitivi sociali per ospitare l’illusione di trovarsi in relazione con gli altri (li chiamo riti per comodità, per convenzione, non mi riferisco necessariamente o solamente a qualcosa di religioso).

Non dico che tutti i riti sociali siano così, non dico che siano sempre stati così, anzi. C’erano e certamente ci sono, riti che grazie alla sua cornice riescono a ritagliare spazio a un evento, a dargli una certa forma (non obbligatoriamente l’unica, ma forse adeguata per un contesto ) e a permettere al senso e al significato di emergere poi con maggiore forza, consentono alle persone di vivere questo significato, plasmando per quello un’immagine, di sentirlo e diventarne consapevole; evento che, in certi casi, influisce su noi stessi fino a cambiarci. Oppure danno semplicemente una cornice anche ad episodi più piccoli e quotidiani cui aggiungono , magari, un po’ di gusto.

Ma accanto a questi, mi pare vedere e osservare una serie di rituali quotidiani, che sono diventati fini a se stessi; che non sono più un mezzo, ma il meta. Sono quelli a essere diventati indispensabili e senza di essi pare impossibile potersi, ad esempio, semplicemente incontrare con delle persone e condividere. Non è più il Trovarsi con Qualcuno l’importante, cui accidentalmente si unisce qualcos’altro, è il rituale. Senza di quello, non è possibile trovarsi, senza quello non è possibile altro. Come se la sostanza che prima abitava la cornice del rituale e che assumeva una delle mille forme che poteva assumere, non fosse più là se non per caso resta solo ciò che ritagliava l’immagine, senza più nulla da plasmare.

Mi domando, infondo, se lo stesso fenomeno non si ritrovi anche in rituali più importanti, come quelli che riguardano la religione. Non è raro trovare chi, pur non più cattolico praticante, magari anche ateo o agnostico, per la bellezza in sé e per sé della cerimonia cristiana del matrimonio, per quell’aurea di romanticismo che lo avvolge, si lancia nel momento di sposarsi alla ricerca di un prete, segue magari un corso prematrimoniale di facciata e poi si presenta davanti all’altare. Ho sentito preti (non tutti, almeno mi auguro) dire anche che non importa cosa pensi durante la messa, se tu con la testa non ci sei. Basta essere fisicamente a messa, poi pensa pure quello che vuoi. La facciata, la cornice, il contenitore.

L’importanza della cornice… se non fosse quella importante, ma il contenuto, si potrebbero scegliere sempre nuove e diverse cornici secondo i casi. E non si proporrebbero, sempre, pedissequamente, immancabilmente una sola cornice, un solo rituale, un solo modo e sempre la stesso.

Questi pensieri si trovano, in questo periodo, nella mia testa.

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