prossimamente darò un'occhiata ai due post precedenti: sospetto di aver fatto delle imprecisioni

3. “tuo padre è stato un folle” parole che mi fuggirono velenose, ma che subito una parte di me si pentii d’aver pronunciato e quasi contemporaneamente fui colpita da una constatazione che ancora oggi mi pare assurda: mio figlio sapeva una cosa che avrebbe dovuto ignorare.
“tu dici così solo perché sei una di loro, perché ti hanno convinta , ti hanno plagiata.” Ribatté e se ne andò con sua moglie. Da quella volta, lui, non lo rividi mai più . Sono, ero, il colonnello delle Milizie del Tempo e così mi giungevano notizie di Balatema, delle sue imprese, o forse dovrei dire dei suoi crimini, visto qual’era il mio ruolo, ma non riuscii più a vederlo.
Il Teamesto in persona mi ha chiamata più e più volte: sapeva infatti perfettamente chi lui fosse, poiché era uno dei migliori allievi ufficiali della sua più prestigiosa accademia militare. E lentamente, ai suoi occhi stavo perdendo il prestigio che mi ero duramente conquistata. Stare di fronte al Tempo provoca delle sensazioni che non sono mai riuscita a descrivere . So che Tuta è l’unico posto dove ha assunto una sembianti quasi antropomorfe, anche perché è l’unico posto dove non è domato dai cavalieri. Assomiglia ad un’ombra corporea: Guardarlo è come gettare i nostri occhi in un essere di nulla, dove non sai , non capisci se è sostanza troppo condensata o se è assenza di materia che ha preso forma; sembra quasi che gli occhi ti siano tolti e gettati via, in un pozzo senza fondo. Ho sempre odiato questa sensazione, ma prima della fuga di Balatema, il Tempo mi chiamava solo per complimentarsi con me, per le mie imprese e non avevo mai dovuto temerlo, neanche la volta in cui scoprì che una notte avevo perso la testa ed avevo amato il capo della Resistenza, neanche quando poi mi chiese la prova più difficile che avessi mai dovuto sopportare.
Eppure quella notte non la riesco a dimenticare, tra le sue braccia, osservando le stelle, la storia del corso naturale del tempo quasi sembrava giusta.
E ora Balatema, anche se non avrebbe dovuto sapere chi fosse suo padre, anche se era cresciuto nelle più rinomate accademie del Teamesto, anche se era destinato a essere generale, era fuggito per entrare nelle fila della Resistenza.
La Turold entrò nella baracca con un vassoio pieno di cibo. Dover essere grata a questo popolo mi fa ribollire il sangue. Sono immuni dallo scorrere del Tempo e non ubbidiscono al Teamestro. Non si possono nemmeno sterminare o rinchiudere o circoscrivere: devono essere dotati di poteri a noi sconosciuti. Si sono sempre isolati dal resto di Tuta, non si sono mai mescolati con la nostra storia, ma in qualche modo mio figlio si è conquistato il loro rispetto , la loro benevolenza e per la lealtà che hanno nei suoi, si sono presi cura di Lekanto dalla sua morte, fino al mio arrivo ed ora fanno lo stesso con me.
“Fluto” esordì la Turold “non dovresti continuare a rimuginare su quanto accaduto, non ti fa bene, avvelena il tuo animo. Non dovresti nemmeno cercare di nascondere ai tuoi occhi quello che il tuo cuore sente come giusto. Ma di questo parleremo dopo. Vi ho portato della frutta. So che preferiresti altri cibi, ma noi non uccidiamo. ”
“grazie, Salvanela” mi costrinsi a dire “quello che ci porti va benissimo, e d’altronde Lekanto non potrebbe per ora mangiare altro ”. Detto questo, mi chiusi in un ostinato silenzio. Non avevo alcuna intenzione di parlare oltre con lei, la prima Turold che aveva deciso di schierarsi, e schierarsi con Loro, portando poi con sé tutto il suo popolo ; la Turold che tentava di convincermi della giustezza della loro causa, parlandomi come se fossi ancora una demente e trattandomi con logorante accondiscendenza . Salvanela sorrise , depositò il vassoio e se ne uscì.
“Lekanto” supplicai esasperata “mangia”. La vecchierella non ne voleva sapere, piangeva, cercava la madre e di nuovo non mi riconosceva; non vedevo l’ora che uscisse dalla fase di demenza. In lontananza si sentivano i canti funebri delle donne della Resistenza che stavano seppellendo la moglie di mio figlio, accanto alla sua lapide e a quella di suo padre. Nessuno mi ha ancora voluto spiegare come e quando loro si sono conosciuti, però ricordo che quando era in licenza del servizio preparatorio all’ammissione attiva nelle milizie, mi faceva sempre domande sui ribelli, sul Teamestro, e su Knabos, il capo della resistenza, quello che lui non avrebbe dovuto mai sapere essere suo padre.
“Fluto” mi chiamò un voce sconosciuta. Mi voltai, mentre ancora tentavo invano di imboccare mia nipote, e lo vidi. Doveva essere il fratello minore di Knabos, aveva i suoi stessi occhi verdi, quelli di Balatema. Restò per un istante sull’uscio della porta, cosicché potessimo osservarci e studiarci a vicenda. Il temporale si era placato da poco, ma già le polveri viola dell’altipiano si stavano rialzando schermando la luce del pomeriggio e i miei occhi poterono così abituarsi presto al contrasto tra la luminosità dell’uscio aperto e la fresca penombra della Batisch. Non aveva solo i suoi occhi, ma anche la sua bocca, le sue mani … che anche il mio ragazzo aveva. Ora iniziavo a capire che non doveva essere stato difficile per Knabos, riconoscere nel giovane allievo ufficiale suo figlio: sapeva che ero rimasta incinta. Dopo quella notte, gli inseguimenti come colonnello non poterono fermarsi e spesso, per uno strano gioco del destino, ci trovavamo isolati dai reciproci schieramenti e parlavamo, come se fossimo altrove. Per anni, finché quella maledetta volta, la mia trappola fu troppo perfetta e lui preso. Gli occhi di suo fratello, così ugnali, mi fissavano però con ben altro sguardo, uno sguardo più gelido se possibile di quello che si avvertiva, pur non vedendolo, da parte del Tempo. “Fluto, ora per colpa del tuo Teamestro tuo figlio è morto, tua nuora è morta lasciando tua nipote orfana. Come tu ben sai, anche mio fratello, l’uomo che ti amava oltre ogni ragione e che tu ricambiavi è morto” quelle parole caddero nel silenzio assoluto dell’aria ed ,improvvisamente, fui consapevole di quello che prima solo sapevo. La voce del fratello di Knabos mi aveva fatto capire. Un nodo mi prese alla gola , mi spezzò il respiro e , per la prima volta dopo anni , piansi
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